Auguri
all’industria finaziaria
Di
Carlo Pelanda (5-1-2009)
Per tutti noi
è conveniente augurare all’industria finanziaria italiana (e globale) di
ricostruire al più presto il ciclo tecnico del capitale abbondante devastato
dalla crisi 2007-2008. Perché se non ci riuscirà il corpo dell’economia reale
avrà meno sangue e deperirà.
Le banche non
hanno ancora ripreso a prestarsi denaro e a fare operazioni finanziarie tra
loro. In generale, percepiscono un elevato, pur residuo, “rischio di
controparte”, cioè il timore che l’altro possa poi non ripagare il credito
erogato. Per l’Italia, dove tale rischio è praticamente zero, probabilmente c’è
un problema di liquidità disponibile. Nel 2009 andranno in scadenza volumi
notevoli di obbligazioni che le banche dovranno pagare. Decine di miliardi. In
situazione normale tale spesa è coperta emettendo altre obbligazioni finanziate
dal mercato internazionale. Ma in quella odierna di “congelamento” le banche
potrebbero non trovare chi compra nuove emissioni. Quindi le italiane devono
procurarsi la liquidità necessaria per provvedere con mezzi propri. Dall’estate
del 2007 la Bce,
pur premendo per la ripresa dell’interbancario, presta soldi alle banche
commerciali per superare tale problema. Ma chiede in garanzia titoli ad elevata
affidabilità. Questo spiega perché recentemente le principali banche italiane
abbiano impacchettato i crediti, per esempio mutui “in bonis”, per trasformarli
in titoli da vendere a “società veicolo”
da loro possedute (autocartolarizzazione), per poi darli in garanzia alla Banca
centrale in cambio di cassa con cui pagare, alla fine, le obbligazioni in
scadenza. Da un lato tali operazioni, tecnicamente rimarchevoli, mettono in
tranquillità le banche, dall’altro la liquidità così creata non va tutta a servizio
del mercato. Per questo, nel primo semestre – già critico di suo per l’impatto
della recessione globale in Italia - ci potrebbe essere una riduzione del
credito. Lo stesso problema crea un’ulteriore restrizione. Se una banca può
cartolarizzare un mutuo o un finanziamento - cioè venderlo rinunciando ad una
parte del guadagno prospettico in cambio di cassa immediata – allora avrà il
denaro per erogare un altro credito, e via così. Se non riesce avrà i soldi
solo per un mutuo e non per due e più. Il risultato è una restrizione delle
erogazioni, con effetto depressivo sul mercato. Cosa può risolvere questo
problema? La ricostruzione dell’industria finanziaria e delle sue basi di
fiducia. In particolare, la ricostruzione della capacità di poter “vendere rischio”.
Se tanti sono disposti a comprarlo, globalmente, allora il ciclo del capitale
si allarga ed i soldi diventano abbondanti. Questo lavoro lo fa, appunto,
l’industria finanziaria specializzata. Ma ora è bloccata perchè in parte
distrutta e, in generale, demonizzata, in Italia in modi esagerati ed
irrealistici. Su questo punto cruciale l’opinione pubblica può essere
influente. L’economia finanziarizzata è quella che ci rende ricchi grazie alla
sua tecnica, un angelo, mentre demoni sono stati alcuni specifici attori e,
soprattutto, la mancata vigilanza sui loro comportamenti (più in America che
nell’eurozona). Non esiste la distinzione tra economia reale e finanziaria
perché senza capitale non può esistere l’impresa. Se sapremo distinguere la
realtà dalle fantasie emotive o ideologiche favoriremo la ricostruzione del
sistema finanziario e della sua capacità di reggere operazioni a debito con
rischio controllato e bilanciato. Ma care banche meritatevi l’appello a darvi fiducia pulendo, lì dove
ancora ci sia, il marcio al vostro interno.
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